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martedì 11 ottobre 2011

La credibilità


Ormai è accerchiato, non da donne stavolta, e sa che la sua discendente parabola politica è giunta al termine. Naturalmente parliamo di Berlusconi, la cui pessima fine politica fa emergere una fondamentale questione: la credibilità dei nostri politici. Credibilità che và a braccetto con la moralità, intesa non solo come comportamento onesto (tangenti, abusi di potere) ma anche rinuncia a dei privilegi (stipendi altissimi, vitalizi, pensioni dopo pochi anni, prebende – l’elenco è lungo purtroppo!) che definire vergognosi è dir poco. E se il centrodestra ha perso, da molto tempo, la propria credibilità, il centrosinistra non sta messo molto meglio. Lo diciamo con grande rammarico perché è la parte politica cui noi socialisti apparteniamo. L’attuale centrosinistra è, per ora, composto da Vendola, Di Pietro e il Pd. Gli altri, tra i quali il nostro partito, si devono accontentare di essere marginali soprattutto perché non partecipano, in quanto sistematicamente e scientemente esclusi, al teatrino della politica televisiva, ahinoi l’unico sistema per aumentare i consensi (questo è il berlusconismo: l’importante è apparire in televisione, non cosa si ha da dire o da proporre). Transeat, come dicevano i quiriti, e ritorniamo al tema di questo post. Questo centrosinistra è spaccato su tutto, dalla legge elettorale alle possibili alleanze per le elezioni. Non certo un segnale di credibilità. E non va meglio se prendiamo i singoli partiti. Iniziamo da Vendola il quale, tra un talk show e l’altro, ha come unica preoccupazione quella di fare le primarie, con la speranza di vincerle, per decidere chi guiderà la coalizione sulla quale non ha nemmeno le idee chiare. E il programma? Per il buon Nichi è una questione secondaria se non proprio superflua. Come governatore poi non è che stia facendo così bene, come dimostra la gestione della sanità pugliese, caso Tedesco a parte. Passiamo a Di Pietro, altra star televisiva, che della credibilità ne ha fatto un vanto. I fatti però ci presentano una diversa realtà. Indagini (e più di un indagato) e soprattutto familismo imperante sono una caratteristica dell’Idv. Al punto che molti fuoriusciti dal partito hanno aperto dei siti web definendolo come “l’esatta antitesi della legalità professata dal leader”. I posti chiave sono occupati in larga parte da parenti e amici di Tonino. Non ultimo la candidatura imposta (e in una lista bloccata!), del figlio Cristiano alle regionali del Molise (ci piacerebbe  sapere cosa ne pensano in proposito i vari Santoro e Travaglio da sempre fan dell’ex magistrato). Sul programma della coalizione, proposte fumose se non per il tema della giustizia. Non ci resta dunque che il Pd. Ovvero dalla padella alla brace. Se il centrosinistra è spaccato, il Pd è una bomba ad orologeria. Oltre al caso Penati, la magistratura sta indagando sulle possibili infiltrazioni camorristiche nelle ridicole primarie del gennaio scorso a Napoli, costate una pessima figura al partito di Bersani. E che dire dell’appoggio esterno, con la possibilità di entrare in giunta, alla maggioranza di centrodestra di Lombardo che guida la Regione Sicilia?  I giovani del Pd, Renzi e Civati (separati in casa anche loro!) in testa, chiedono che venga rispettato lo statuto a proposito delle candidature, il che escluderebbe molti notabili del partito[1]. D’Alema, al culmine della sua “sagacia” politica che tanto ha portato alla sinistra in questi anni, dichiara che la socialdemocrazia europea è obsoleta e superata. Dimostrando, ancora una volta, l’ipocrisia e l’opportunismo suo e della parte Ds (cioè gli ex-comunisti) del Pd visto che da molto tempo fanno parte, prendendo incarichi importanti, del Partito Socialista Europeo[2]. Veltroni, per non essere da meno del suo acerrimo nemico, prova a rilanciarsi. Si scaglia contro la lottizzazione della Rai (quoque tu Walter!)[3] e rilancia, con Letta e Franceschini e contro la maggioranza del Pd, l’idea di un governo di transizione che approvi una nuova legge elettorale[4] e faccia le riforme per uscire dalla crisi. Sulla presidenza nazionale dell’ANCI si è consumato uno scontro fratricida che ha visto la supremazia dell’area cattolica (e di quella “nordista”) del partito, che appoggiava il vincitore Delrio, sindaco di Reggio Emilia, su D’Alema e la segreteria nazionale che sostenevano Michele Emiliano, sindaco di Bari. E da ultimo (ma potremmo continuare per molto ancora) gli attacchi alla leadership di Bersani, con i Modem (l’area cattolica) di Veltroni, Fioroni e Gentiloni i quali hanno affermato che “non è detto che Bersani sarà il nostro candidato, neppure nel 2012”. Lasciamo ai lettori le opportune considerazioni in merito. Possiamo solo sperare che la credibilità, questo grido di dolore che da più parti d’Italia si leva verso la nostra classe politica, non rimanga inascoltato.





[1] Lo statuto del Pd prevede al massimo tre legislazioni. Ad esempio la Bindi è alla sesta, ma solo alla prima con il Pd. Per cui, alla faccia del rinnovamento, sono tutti candidabili. Pardon, candidati.

[2] Fu Bettino Craxi a convincere i vertici del PSE, contrarissimi, ad accogliere gli ex comunisti dell’allora Pds (poi Ds) nella grande famiglia del Socialismo Europeo.

[3] Si veda in proposito il libro “Il baratto” del giornalista Michele De Lucia.

[4] Veltroni è stato uno dei principali fautori e sostenitori dell’attuale sistema elettorale, il Porcellum.  Adesso è salito opportunisticamente sul carro di chi lo vuole cambiare…

1 commenti:

Michele Cerasuolo ha detto...

Un cultore di film d'epoca parafrasando il titolo di un vecchio film sulla passione di Cristo degli anni cinquanta, potrebbe affermare "Non c'è pace tra gli Ulivi".

Più semplicemente il pratico "Seriodd",un piccolo fruttivendolo che girava,negli anni ormai andati,con la sua "trainella" per le strade del nostro paese,direbbe,come faceva con le donne che "capavano"le patate, "Ca so' tòtt tal e qual".