venerdì 27 gennaio 2012
giovedì 26 gennaio 2012
La libertà negata
La terribile esperienza del Ventennio fascista spinse i
nostri Padri Costituenti , alla stesura della Carta Costituzionale, ad
individuare, con la più ampia convergenza tra le forze progressiste e quelle
moderate, nella libertà di espressione del pensiero uno dei cardini del nuovo
stato democratico. Questo intendimento si tradusse nell’art. 21 della Costituzione[1]. Nato come articolo riguardante la
libertà di stampa, al comma 1 esso afferma il diritto di esprimere liberamente
il proprio pensiero[2]. Questa prolusione, gentili
lettori, è necessaria per spiegare ciò che è successo il 22 gennaio a
Milano. Durante la manifestazione leghista contro l’attuale governo e la sua
politica economica i compagni socialisti di Milano, guidati dal consigliere
comunale e responsabile del Psi lombardo, Roberto Biscardini, hanno promosso
un’iniziativa, civile e pacifica, per denunciare l’ipocrisia e la
responsabilità della Lega Nord per i suoi 15 anni di governo. Si è trattato
dell’esposizione di un lungo striscione al passaggio del corteo leghista in
vari punti del capoluogo lombardo. Striscione che non è affatto piaciuto ai
leghisti i quali, vedendolo, hanno cominciato ad inveire violentemente contro i
compagni milanesi.
Non solo. Minacciando disordini hanno “costretto” (?) la Digos ad ordinarne la rimozione, per “motivi di ordine pubblico”. A questo punto la domanda sorge spontanea: cosa c’era scritto su quello striscione di così pericoloso per l’ordine pubblico? Assolutamente nulla gentili lettori. Lo striscione in questione era un gigantesco tricolore. Avete letto bene. La Digos ha ordinato ai compagni milanesi la rimozione, perché ritenuta pericolosa per l’ordine pubblico, della nostra bandiera nazionale! Ora, senza scadere nella retorica risorgimentale e delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia (che la Lega non ha festeggiato), il Tricolore rappresenta, insieme all’Inno di Mameli, il nostro simbolo di riconoscimento nel mondo. La Costituzione stessa stabilisce come esso deve essere composto[3] ed è tutelato anche dal codice penale. Tra i reati di opinione[4], infatti, c’è anche quello di vilipendio alla bandiera[5], reato di cui Bossi si è macchiato per ben due volte[6]. Dunque, invece di essere difeso dalle forze dell’ordine, il tricolore è stato da queste rimosso perché dava fastidio a chi lo ha sempre sbeffeggiato ed ha inneggiato (e lo fa tuttora) alla secessione! Altro che motivi di ordine pubblico.
In nessuna parte del mondo l’esposizione della propria bandiera nazionale può rappresentare e rappresenta un pericolo per l’ordine pubblico. E non ci risulta nemmeno in Italia, almeno fino al 22 gennaio scorso. Ma questo è il meno. L’atto di rimozione dello striscione ha rappresentato la negazione di quella fondamentale libertà di ogni stato democratico: il diritto di esprimere il proprio pensiero come sancito dalla nostra (e non solo) Costituzione. D’altronde non siamo né in dittatura né in uno stato di polizia. O si?
Non solo. Minacciando disordini hanno “costretto” (?) la Digos ad ordinarne la rimozione, per “motivi di ordine pubblico”. A questo punto la domanda sorge spontanea: cosa c’era scritto su quello striscione di così pericoloso per l’ordine pubblico? Assolutamente nulla gentili lettori. Lo striscione in questione era un gigantesco tricolore. Avete letto bene. La Digos ha ordinato ai compagni milanesi la rimozione, perché ritenuta pericolosa per l’ordine pubblico, della nostra bandiera nazionale! Ora, senza scadere nella retorica risorgimentale e delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia (che la Lega non ha festeggiato), il Tricolore rappresenta, insieme all’Inno di Mameli, il nostro simbolo di riconoscimento nel mondo. La Costituzione stessa stabilisce come esso deve essere composto[3] ed è tutelato anche dal codice penale. Tra i reati di opinione[4], infatti, c’è anche quello di vilipendio alla bandiera[5], reato di cui Bossi si è macchiato per ben due volte[6]. Dunque, invece di essere difeso dalle forze dell’ordine, il tricolore è stato da queste rimosso perché dava fastidio a chi lo ha sempre sbeffeggiato ed ha inneggiato (e lo fa tuttora) alla secessione! Altro che motivi di ordine pubblico.
In nessuna parte del mondo l’esposizione della propria bandiera nazionale può rappresentare e rappresenta un pericolo per l’ordine pubblico. E non ci risulta nemmeno in Italia, almeno fino al 22 gennaio scorso. Ma questo è il meno. L’atto di rimozione dello striscione ha rappresentato la negazione di quella fondamentale libertà di ogni stato democratico: il diritto di esprimere il proprio pensiero come sancito dalla nostra (e non solo) Costituzione. D’altronde non siamo né in dittatura né in uno stato di polizia. O si?
[1] Riportiamo solo il comma 1 dell’art. 21: « Tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione. »
[2] Negli Stati Uniti questo fondamentale
diritto è sancito dal Primo Emendamento alla Costituzione.
[3] Art. 12 Cost.: « La bandiera della Repubblica è il tricolore
italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. »
[5] Art. 292 c.p.:«Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o
ad altro emblema dello Stato»
« Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la
bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro
1000 a euro 5000. La pena è aumentata da euro 5000 a euro 10000 nel caso in
cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o
di una cerimonia ufficiale. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente
distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera
nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione fino a
due anni. Agli effetti della legge penale per bandiera nazionale si intende
la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori
nazionali.»
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[6] In due occasioni, entrambe nel 1997. Per la prima, nel
2001 fu condannato ad 1 anno e 4 mesi, sentenza poi diventata definitiva in
Cassazione nel 2007. Per la seconda, nel 2002 la Camera non concesse
l’autorizzazione a procedere. La pena detentiva, con la riforma del 2006, fu
trasformata in una multa di 3000€.
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